Davide Colferrati Web Page

Living Memories

Mauro Mattioli

Avevo forse 13 anni, quindi doveva essere il 1969 o giù di lì. Lui ne aveva uno di più di me, infatti l'avevo conosciuto perché era alle medie insieme ad un mio amico che mi parlava di un "ripetente" che faceva l'asino così bene che tutta la classe moriva dal ridere.
Per me era un idolo: sapeva tutto della musica e aveva perfino una chitarra elettrica!
Lo vedevo in autobus, perché il 18 lo prendeva anche lui.
Più grosso di noi "cinni" stava stravaccato laggiù, nell'angolo della piattaforma posteriore. Spesso mi pigliava in giro perché io, che "facevo la scuola da fighetti", andavo in giro d'inverno con le braghe corte e i calzettoni. E anche per il cappellino, d'estate.
Questo però non scalfiva di un briciolo la sua splendente immagine presso di me. Forse perché non era "cattivo" negli scherzi e in fondo si capiva che, come del resto ha fatto sempre, lo faceva solo per far ridere. Forse era solo perché sapevo che lui aveva una chitarra elettrica...
Ci vedevamo d'estate in via Piave. Proprio vicino a casa di Gnudi, dove poi è andato a stare. Ma allora quello era il mio quartiere. Lui era uno della Barca.
Lì, passato il Velodromo, c'era un prataccio di perifereria. E in quel prato grigio in autunno si fermavano gli autoscontri.
Tutti cromati, con i neon colorati accesi anche di giorno, gli autoscontri stavano per due settimane e per quelle due settimane non c'era oratorio o centro comunale che tenesse. I ragazzi al pomeriggio si riversavano tutti lì.
E' naturale che il baricentro di questa attrazione fosse sopratutto la presenza di qualche ragazzina da tamponare. Magari un ex-compagna delle elementari, con le gambe da bamby inguainate in un collant lattiginoso della merciaia. Oppure un'esotica conoscenza di un'altro quartiere, presentata dall'amico, la quale sfoggiando rossetto e minigonna ci avrebbe fornito materiale immaginifico da smaltire per le settimane a venire.
Un'atmosfera da orecchie rosse, si. Ma c'era un gruppetto di tizi che non si staccava mai da una strana postazione: stavano sotto le casse dell'impianto audio in atmosfera di attentissima concentrazione.
Le casse incombevano nere e massicce, foderate della solita tela a rombi. A quella distanza ravvicinata avevano un suono "grasso" e caldo che ti faceva vibrare la pancia.
Così si ascoltavano i pezzi della hit parade a tutto volume. Come non si poteva fare a casa, per l'impotenza tecnica del mangia-dischi e per i divieti di mamme e vicini.
Nel gruppo si riconosceva sempre lui, che non mancava un solo pomeriggio, e il desiderio di diventare suo amico mi portò a apprezzare quella postazione e quei pezzi dai nomi inglesi che lui mi spiegava e mi citava a tamburo battente.
Quante storie della mia vita cominciano da lì!
Nel gotha dei musicofili c'erano poi altri "inarrivabili", e tutti sembravano effettivamente un po' distaccati e "altri". Cioè si capiva che avevano altro per la testa, rispetto alla media dei ragazzotti. Cialdo, per esempio lo vedevo sempre lì, e poi questo Berto di cui mi serve parlare per il seguito della storia.
Berto era un tipo buffo, ancora più grande e grosso di Davide. D'inverno girava sempre col "paletò" grigio. Per come me lo ricordo io, mi sa che non lo toglieva fino all'estate o quasi. Se ci parlavi lui era talmente timido che, anche a un "cinno" come me, rispondeva sempre solo con un "he, he" e un sorriso buono e un po' sdentato, dietro agli occhiali spessi.
Di lui Davide mi diceva che era uno dei più grandi chitarristi del quartiere. E se lo diceva Davide, per me era vangelo.
Va bhé, comunque Berto restava un tipo strano. E ha continuato a girare da solo per il quartiere col suo paletò finché ho abitato lì coi miei genitori.

Veniamo a questi anni. Questi ultimi anni di fatica e di anteprima della vecchiaia.
Io e Davide ci vediamo ogni tanto, tipo una volta al mese o forse meno.
Adesso, a volte quando lo incontro mi parla anche di qualche problema: "La pilla che manca"... qualche "storia di salute"...
Ok, lui è sempre stato una roccia. Ma per me che lo conosco da tanto e che sempre l'ho ammirato così, qualche volta traspare una trama di tensione. Ho un po' l'impressione che non riesca ad essere sereno come è stato sempre e come mi piace ricordarlo.
Per questo mi colpisce una telefonata anomala di una domenica di primavera...
Saranno le due del pomeriggio. E' lui che stranamente mi chiama sul cellulare e, quasi senza farmi rispondere, mi fa: "Sai dove sono? Sono qui che prendo il sole su una panchina con Berto! Te lo ricordi? L'ho incontrato dalle parti di casa mia e ci siamo piazzati qua, come due vecchietti al sole."
Bhé, tutto qui. E non so neanche perché lo racconto.
Ma di tanti momenti, questo mi rimane per la sua stranezza: una telefonata inaspettata, niente da dirmi e la voglia di condividere con me un'incontro casuale, una panchina al sole...
Perché l'ha fatto? Forse si ricordava anche lui di quell'altro prato... "Numero due spingi il pedale, numero due spingi il pedale"... "non in due sulla macchinina, non in due sulla macchinina"...
"Penny Laa-aa-ane .... ..... ..... scrcrt ..... ..... scrcrt ..... ..... scrcrt ..... ..... scrcrt ..... ..... scrcrt .... cluck

Mauro Mattioli

Dec. 1, 2005