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CENTRAL UNIT
A volte ritornano. A volte il nuovo capitolo è
ancora più entusiasmante dei vecchi, se non fosse per quell'aurea di
culto e di mistereo che con il tempo avvolge gli artisti più
sotterranei. Pionieri del nuovo rock italiano, sagaci manipolatori
di musiche elettroniche al confine tra new wave ed avanguardia, i
Central Unit sono tornati alla ribalta dopo circa vent'anni di
inattività. Hanno prima riscattato la memoria affievolita dei loro
due misconosciuti lavori in vinile - il 12"EP "Loving Machinery"
(1982) e l'elleppì omonimo, uscito l'anno successivo - ristampandoli
entrambi in un unico CD; poi hanno dato nuovamente prova del proprio
talento con l'intrigante "Internal Cut" (MP Records). Li abbiamo
raggiunti, nella speranza di poter recuperare almeno in parte
quattro lustri di assoluto silenzio.
Riprendiamo il discorso dal
1983, quando uscì il vostro primo LP: cosa accadde dopo e quali
furono le motivazioni del vostro scioglimento? La
CGD, nonostante il contratto firmato e svariate riunioni, non riuscì
a definire un progetto globale per lanciarci, anche dal punto di
vista dell'immagine. Dissero che ci stavano lavorando, ma poi non se
ne fece nulla. Il disco, pertanto, non fu oggetto di promozione
alcuna. D'altro canto, i rapporti con la major ci privarono in
qualche modo della nostra purezza: ci convincemmo infatti di poter
raggiungere il successo; quindi orientammo di proposito la nostra
musica verso certa new wave allora molto di moda. I risultati furono
pessimi, la CGD ci abbandonò e poco dopo ci sciogliemmo.
Quali stimoli vi hanno
spinto ad aggregare nuovamente la band, recuperando un nome
dimenticato per tanti anni? Ci eravamo lasciati in
ottimi rapporti e a tutti noi l'esperienza Central Unit è sempre
rimasta in un angolo del cuore. Avevamo provato a ritrovarci due
volte, nel '90 e nel '93, ma senza esiti apprezzabili. Al terzo
tentativo, nel 2000, grazie anche ad alcune integrazioni d'organico,
è finalmente nata - di nuovo - una musica che ci assomiglia e ci
rappresenta. Il pretesto fu l'idea, purtroppo non realizzata, di un
concerto per il ventennale assieme ai Tuxedomoon, con cui invece non
siamo mai riusciti a suonare.
"Internal Cut" ha avuto una
gestazione piuttosto lunga: avete incontrato problemi di carttere
editoriale oppure vi siete arenati in fase
creativa? In un mondo perfetto, il disco avrebbe
potuto uscire già a fine 2002. Tra l'attesa per l'ultimazione negli
Hawk Studios di Fabio Liberatori (dove l’album è stato efficacemente
missato da Gianrico La Rosa), vari problemi con la tipografia e il
tempo richiesto per ottenere l'autorizzazione a inserire i
campionamenti, i mesi sono passati veloci. Però nel frattempo siamo
riusciti ad inglobare nel progetto il trombettista Marco Tamburini,
che ha interpretato le nostre atmosfere con grande talento. Alla
fine abbiamo benedetto il ritardo.
A cosa si riferisce il
titolo? Il "taglio interno" potrebbe essere quello
che abbiamo ricucito riformando la band. In realtà è il più
convincente anagramma di Central Unit. Un altro è “Until Trance”,
anche se un po' più stiracchiato.
Dopo tanti anni, come è
cambiato il vostro approccio alla composizione e agli
arrangiamenti? Non molto. Ancora oggi, come allora,
la musica nasce dall'idea di qualcuno - per lo più il tastierista -
a cui poi tutti contribuiscono. Si registra tutto e poi si lavora
sugli ascolti delle registrazioni. La differenza è che adesso hai
subito a disposizione materiale editabile, mentre allora era
necessario suonare molto di più insieme. L'hard disk ha preso il
posto della musicassetta... Gli arrangiamenti sono prerogativa di
Lolli, che però ci consulta continuamente, a volte addirittura
proponendoci alternative tra cui scegliere.
Se negli '80 aveste potuto
servirvi delle tecnologie oggi accessibili a tutti, ritenete che il
vostro sound sarebbe stato differente? Mi spiego meglio: ritenete
che gli strumenti di allora ponessero dei limiti alla vostra
creatività? No, non dovrebbe mai essere così. Lo
strumento è appunto un mezzo, trasformarlo in scopo è roba da
edonisti. Il discorso cambia per le performance dal vivo, durante le
quali è necessario adattarsi, allora come oggi. Piuttosto, quando si
ha vent'anni, il limite può stare nella capacità di guardarsi dentro
e capire con chiarezza quali sono i propri obiettivi. Detto ciò, non
c'è dubbio che con gli strumenti di oggi avremmo prodotto un sound
diverso. Ascoltando il vinile del 1983 si percepisce un suono
piccolo e ovattato; da questo punto di vista la ristampa su CD ha
fatto miracoli.
A qualche mese dall'uscita,
volete trarre un bilancio sulle sorti di quest'ultima vostra
fatica? Forse sperare che il disco fosse
acquistabile in qualche negozio in tre o quattro città era
un'utopia. Sta di fatto che la commercializzazione è inesistente. Se
lo vuoi comprare - e non sei di Bologna, dove i negozi se lo sono
procurato - puoi solo scrivere alla MP Records, che vende anche dal
suo sito internet. Del resto, meno di quel che fece la CGD è
impossibile. Ci resta, come allora, il buon riscontro degli addetti
ai lavori. L'esperienza ci dice che quando la musica è usata per
esprimersi, l'aspetto commerciale può essere importante, ma non deve
essere decisivo. Infatti stiamo già lavorando a del nuovo
materiale...
Fabio Massimo Arati
Contatti: www.centralunit.com
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