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Lars Horntveth: Pooka (Malltown Supersound) file
under: jazz Ha un cognome quasi impronunciabile, è norvegese, fa parte del combo Jaga Jazzist ed è l’autore di uno dei migliori dischi jazz di quest’anno. La musica di Pooka guarda da un lato al jazz “aperto” di Mingus ed Evans e, dall’altro, alla lezione del jazz inglese, melodico e sognante (Nucleus, Soft Machine, Tippett e compagni). Al tempo stesso sa uscire dal seminato e sconfinare in territori più pop, non troppo distanti da alcune pagine di Wyatt o della Penguin Cafè. Insomma stiamo parlando di un gran bel lavoro, intelligente, creativo, innovativo e capace di emozionare più di quanto sia lecito attendersi da un giovane musicista scandinavo. |
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Howie B: Last
Bingo In Paris (MK2) file under:
elettronica Se non ve ne siete ancora accorti questo lavoro vi rivelerà che Howie B è uno dei più validi musicisti elettronici in circolazione (andare a riascoltare l’album Folk per averne conferma). Ama il suono e cerca perciò di esaltare la gamma timbrica nella musica che produce. Riesce poi a non fossilizzarsi in uno schema rigido, alternando ritmiche incalzanti a momenti più ambient-space, senza farsi limitare, nelle sue divagazioni, dall’obbligo della commercialità. Last Bingo In Paris, che nasce come colonna sonora di un possibile film del quale Howie B ha scritto anche la sceneggiatura, è il terreno ideale per dar prova di duttilità e per mettere a frutto l’idea di un album inteso come percorso musicale, capace di spiazzare l’ascoltatore e condurlo in territori inimmaginabili alla partenza. |
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Bid: Bambas &
Biritas Vol.1 (Beleza) file under: brasilian DJ
La scena musicale è quella di San Paolo, una delle più creative in Brasile (basti pensare al lavoro del grandissimo Suba), dove si assiste normalmente ad una fusione tra hip-hop, drum&bass, soul, funky e le radici brasiliane ritmiche ed armoniche. Bid, ossia Eduardo Bidlovski, ha sempre nuotato in questo mare, producendo e remixando personaggi come Chico Science, Nacao Zumbi, Jorge Ben e Gilberto Gil. Questo è il suo debutto come solista. E’ un lavoro fresco e coinvolgente, accurato e sfaccettato, che vede la partecipazione di amici illustri come Seu Jorge, Arnaldo Antunes ed Elza Soares, una delle più amate voci della samba. |
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Apostle Of Hustle: Folkloric Feel (Arts And Crafts)
file under: folk & post rock L’apostolo della fretta è in realtà Andrew Whiteman, chitarrista dei Broken Social Scene, gruppo canadese di Toronto, oggi molto accreditato come tutta la scena musicale di quella città. Ed in effetti Whiteman, pur scegliendo un approccio più intimista rispetto a quello del gruppo in cui milita, ha messo giù una manciata di bei pezzi, molti dei quali si avvalgono dell’aiuto degli altri Broken. Il risultato finale sfugge a definizioni troppo restrittive. Sicuramente c’è spazio per un folk visionario ed anticonvenzionale, ma non mancano gli episodi più rock o, se proprio volete, più post-rock. In definitiva, anche se non siamo di fronte ad un capolavoro, possiamo riconoscere a Folkloric Feel quell’autonomia espressiva che di questi tempi è merce sempre più rara. |
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Rare Moods: Peace
In Da Neighborhood (Comet ) file under:
electronic funk-jazz La musica di Rare Moods sembra portarci in discoteca, sempre che esistano clubs dove i ritmi ed il beat vengono apprezzati nella loro forma più astratta ed anticonvenzionale. Liam Farrell (noto come Doctor L.) e Manu Boubli sono gli autori di queste tracce. In comune hanno la passione per l’afro-beat di Tony Allen (l’ex batterista di Fela Kuti), per il funk, il free jazz e l’elettronica. Ma in questo lavoro le loro passioni passano attraverso il filtro del campionamento e del trattamento del suono. In assenza di musicisti in carne ed ossa la loro musica non può che puntare a cogliere lo spirito delle fonti a cui si ispira, senza alcuna preoccupazione di nascondere l’artificiosità e la freddezza tecnologica dei processi compositivi. Bello ed intelligente. |
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Jon Dee Graham: The Great Battle (New West) file
under: american songwriter Non ci sono più dubbi: quest’artista merita un posto di primo piano nella nutrita schiera dei songwiter di talento. Texano, caratterizzato da una voce rauca e cavernosa, l’ex True Believers supera di gran lunga, con questo nuovo lavoro, la qualità già mostrata col precedente Hooray For The Moon. Merito probabilmente anche del contributo fornito da Charlie Sexton in fase produttiva (la grande esperienza di questo musicista ha contribuito di certo ad omogeneizzare stilisticamente i brani del disco). Ma soprattutto merito di una scrittura matura ed efficace, senza alcuna sbavatura. The Great Battle sforna dell’ottimo roots-rock, con piglio stradaiolo e molta benzina in corpo da bruciare. |
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Central Unit: Internal Cut (MP records) file
under: italian pop, funk & jazz A 21 anni di distanza dall’omonimo album dell’83, si rifanno vivi i bolognesi Central Unit. Attenzione, Internal Cut non è un’operazione di nostalgico remembering, è un lavoro attuale, vitale, musicalmente molto robusto. La new wave di allora è stata lasciata nel cassetto ed ha fatto spazio all’elettronica, al funk, al jazz, al pop surreale e poco addomesticabile. Merito dei ¾ superstiti della vecchia formazione (Pietropoli, Giuliani e Caramelli) e dei nuovi acquisti: Riccardo Lolli alle tastiere ed ai loops, Andrea Ventura alla batteria. Importanti anche gli ospiti in studio, in particolare il jazzista Marco Tamburini, la cui tromba agile e sincopata contribuisce a far brillare alcune tracce. La copertina disegnata da Carpinteri ed il campionamento di Demetrio Stratos (nella prima traccia “Lacroix”) danno il senso dello spessore culturale di questo gradito ritorno. |
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Nic:Neg Conference: Mex (Uncompressed Mind) file
under: jazz Nicola Negrini e compagni riescono con naturalezza e talento in un’impresa in cui molti falliscono miseramente: coniugare la musica, jazz in questo caso, con l’impegno politico. Mex inserisce infatti la voce del subcomandante zapatista Marcos in un contesto musicale di vibrante bellezza dove sassofono e tromba si avvicendano (talvolta si uniscono) a tessere melodia sopra una base solida ed asciutta, costruita dal contrabasso di Negrini e dalla batteria. Poco importa se a tratti risuonano gli echi della Liberation Orchestra di Charlie Haden o di qualche pagina più latineggiante di Sonny Rollins e di Mingus. Quel che conta è che la loro musica è libera ed onesta, non promette niente di più di quel che dà a chi la sa ascoltare: emozione e piacere. |
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Paolo Conte: Elegia (Warner) file under:
cantautore Finalmente Conte pubblica un disco nuovo. Tolta la parentesi di Razmatazz, (che non poteva certo intendersi come un nuovo album di canzoni, tutt'al più una specie di musical) erano 9 anni, cioè dall’ottimo Una Faccia In Prestito, che non usciva un suo disco nuovo in studio. Elegia è un vero e proprio ritorno all’espressività più tipica di Conte. Qui sta il suo merito ed il suo limite. Canzoni brevi, classiche nella forma, molto ben rifinite nell’arrangiamento. Nessuna di esse buca subito lo schermo, però si fanno amare facilmente, non stancano ed anzi acquistano meriti ad ogni successivo ascolto. |
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Mofro: Lochloosa (Glitterhouse) file
under: rock-blues Da parecchio tempo mancava un album capace di parlare il vecchio linguaggio del blues, del soul e del funk in maniera tanto forte quanto semplice e naturale. Questo gruppo guidato da JJ Grey (polistrumentista e cantante) e da Daryl Hance (chitarrista) suona una musica che trae spunto dalla natura del territorio in cui il gruppo si è formato: la Florida con i suoi paesaggi dolci, i corsi d’acqua paludosi, i laghi come quello di Lochloosa, a pochi passi dalla casa di Grey. Il suono dei Mofro rappresenta il perfetto punto di equilibrio tra folk-blues acustico (fondamentali gli interventi del piano e dell’armonica a bocca) e rock elettrico, contraddistinto dal suono, spesso slide, della chitarra e dalle battute secche e precise della batteria. Questa musica fa già parte dell’inconscio collettivo di molti appassionati del genere, ma vedercela scodellata con tanta naturalezza e buon gusto riattizza antichi piaceri. |
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Eminem: Encore (Universal) file under:
rap Spiegare lo strepitoso successo planetario di Eminem non è facile. Un rapper di solito piace quando il suo messaggio si serve degli stessi codici di linguaggio dei potenziali fruitori. Per un bianco questo è ancora più difficile, non potendo contare sulla solidarietà del branco (quello dei fratelli di pelle, cioè i giovani afroamericani che contestano il sistema). Ascoltando con attenzione Encore si capisce però meglio il motivo di questo successo. Vale per Eminem lo stesso che vale per il gruppo Black Eyed Peas, che hanno conquistato i favori di bianchi e neri, in America e nel mondo più coi suoni che con le parole. Anche Eminem colora il suo rap di mille sfaccettature musicali, fino a farlo parlare col linguaggio del soul, del pop e del funky. Insomma la sua musica non stanca ed allora le parole possono anche permettersi di sfottere Bush e Michael Jackson, come succede in questo disco, senza rischiare di sembrare soltanto slogans sparati a raffica da un coatto, riservati per lo più ad altri coatti. |
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Us3: Questions (Kwerk) file under:
soul-jazz Ritorna a farsi vivo il gruppo di Geoff Wilkinson, segnato per sempre dal successo gigantesco ed imprevedibile di Cantaloop, brano del 1993 che riprendeva furbescamente un giro di piano di Herbie Hancock. In seguito ripetersi è stato difficile ed il gruppo ha conosciuto sicuramente tempi duri. Il nuovo album, Questions, li rimette in gioco, vive di luce propria e ci fa vedere come Wilkinson e soci siano in grado di sfornare ottima musica, masticando R&B, soul e jazz ad un livello spesso di gran lunga superiore rispetto a molte formazioni che hanno ottenuto consensi cavalcando la moda del così detto nu-jazz. |
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Omar Sosa: Mulatos (Tà records) file under: latin jazz Anche se questo pianista Cubano ci ha già abituato a musica di qualità altissima, il suo nuovo Mulatos ci ha affascinato ancora una volta, grazie all’originalità ed alla freschezza della musica proposta. Qui Sosa si fa aiutare da eccellenti musicisti, non solo di ambito jazz. Anzi sono proprio gli interventi dell’ oud (il liuto arabo) di Dhafer Youssef e delle tabla suonate da Philippe Foch a dare il senso di meticciato che il titolo del disco sottintende. Sosa riesce, con la classe che gli compete, ad inscrivere la sua musica tra tradizione e modernità, dribblando con eleganza le trappole della fusion e della world music. |
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P.A.F: Morph (Label Bleu) file under:
jazz Paolo Fresu, Antonello Salis e Furio di Castri hanno realizzato un disco bellissimo, che sfugge però in maniera ostinata a qualunque tentativo di descrizione. Sicuramente l’ascolto di questa musica comunica un gran senso di libertà. Non c’è anarchia nel loro modo di suonare, ma mancanza, voluta, di strutture fisse di riferimento, questo sì. E poi c’è il piacere del gioco, ovviamente musicale, con i suoni e con i rumori, c’è la voglia di dar vita a forme sonore, spesso molto brevi, che vivono di vita propria, illuminate dalla creatività del momento. C’è l’alchimia, tutta da invidiare, nata dall’incontro felice di tre teste pensanti che hanno combinato il pianoforte, la tromba, il contrabasso, la fisarmonica, i rumori, le voci, in un melange sonoro tutt’altro che privo di una sua logica. Morph si presta a varie possibilità di fruizione. Lo potete gustare intero d’un fiato dalla prima all’ultima traccia o memorizzarne un solo frammento in attesa di ricollocarvi sulla giusta lunghezza d’onda. |
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Paola Morelenbaum: Berimbaum (Universal ) file under:
brasil Dieci anni di collaborazione con Antonio Carlos Jobim hanno dato alla Morelenbaum (è la moglie di Jaques, famoso violoncellista, nonché collaboratore di Veloso e Sakamoto) una grande conoscenza della musica brasiliana in generale ed, in particolare, della poetica di Vinicius De Moraes. A lui è dedicato Berinbaum e suoi, almeno nelle liriche, sono tutti i brani di questo disco. Ma se nella scelta del repertorio è stato salvaguardato il rispetto della tradizione, non così si può dire per gli arrangiamenti e la strumentazione. Infatti, grazie anche alla collaborazione del trio Bossacucanova ed alla coproduzione di Celso Fonseca, il sound di questo lavoro è assolutamente moderno e innovativo: una forma originale di hot-cool, una bossa nova jazzata, dove l’elettronica recita un ruolo importante pur senza divenire mai soverchiante. Paula Morelenbaum canta il repertorio di Vinicius con classe, calore ed eleganza, realizzando così uno dei migliori lavori brasiliani dell’anno. |
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Andrea Chimenti: Vietato Morire (Santeria) file
under: cantautore Chimenti ha una lunga carriera alle spalle, cominciata nell’84, quando era il cantante dei Moda. Terminata quell’esperienza è cominciato per lui un percorso che vorrei definire catartico. Di esperienza in esperienza è andato ad affinare il suo linguaggio e ad arricchire lo spessore culturale del suo lavoro. Già l’album precedente, Il Porto Sepolto, che lo vedeva alle prese con la poesia di Ungaretti, ci metteva di fronte un artista maturo e totalmente autonomo nella sua espressività. Il nuovo Vietato Morire lo impegna anche come autore dei testi, esame che Chimenti supera a pieni voti. Pervase da una forte carica drammatica, le canzoni di questo disco risaltano grazie ad arrangiamenti raffinati ed essenziali ed emanano uno charme che ne accresce il valore ad ogni successivo ascolto. |
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Antibalas: Who Is
This America? (Ropeadope) file under: funk &
afrobeat Anche col nome accorciato (si chiamavano Antibalas Afrobeat Orchestra), questo combo Newyorkese prosegue la sua missione musicale: cioè mantenere in vita il genere afrobeat, che ha visto in Fela Kuti il più celebre esponente ed in Tony Allen, batterista del leader nigeriano, un degno continuatore. Il gruppo degli Antibalas, deviando talvolta dall’ortodossia, cerca di mettere maggiormente l’accento sulla componente funky, più consona a musicisti afroamericani. Ma si tratta di sfumature. Lo zoccolo duro del loro sound rimane il coinvolgente ed ipnotico impasto di fiati, percussioni e tastiera che ha caratterizzato la musica di Fela. |
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Ray Lamontagne: Trouble (Echo) file under:
folk-rock |
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Alice Coltrane: Translinear Light (Universal) file
under: jazz Sono passati 26 anni da quando la Warner pubblicò il meraviglioso Transfiguration, il penultimo album di Alice Coltrane. Certamente la musica ha sempre fatto parte della sua vita, sia quella nella famiglia d’origine (Alice McLeod aveva un fratello maggiore che è stato un noto bassista jazz) che quella nella famiglia acquisita, segnata dalla mitica figura del marito John. Anche i figli, Ravi ed Oran, sono ottimi sassofonisti ed Alice li ha voluti con sé in questa nuova esperienza. Translinear Light nasce ovviamente per il puro piacere di fissare le proprie idee musicali. E’ musica libera, legata tutt'al più alla dolcezza del ricordo, ad alcune forme espressive inevitabilmente condizionate dal passato. Del gruppo che l’ha realizzato fanno parte anche Charlie Haden, Jeff Watts e Jack DeJohnette, ma il merito del carisma che distingue questo lavoro va soprattutto alla famiglia Coltrane. La madre Alice col suo particolare modo di usare la tastiera ed il figlio Ravi, Il cui sax tenore dispiega una melodia che farebbe la felicità del padre. |
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