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Negli ultimi
vent’anni i Central Unit,
in qualche modo, sono sempre esistiti e diverse sono state le
sessions nelle quali e’ stato prodotto nuovo materiale senza
essere mai pubblicato. Dopo l’abbandono di Natale
Nitti (che ci risulta al lavoro su ampio materiale
di prossima pubblicazione), ispiratore e co-fondatore del gruppo nel
1980, con l’inserimento di un nuovo tastierista e di un batterista
vero e proprio i C.U. hanno ricevuto nuove energie ed è quindi con
estremo interesse che siamo qui a presentare il CD “Internal
Cut”, corredato da un’elegante copertina triplo
digipack con grafica dell’ottimo Carpinteri
e appena pubblicato dalla M.P. Records
che riporta il nome del gruppo sul mercato discografico dopo oltre
vent’anni (insieme alla ristampa nel 2003, su un unico CD dell’E.P.
“Loving Machinery”
e dell’LP “Central Unit”, i due dischi su vinile degli anni ’80).
Per quanto distanti nel tempo o proprio perché distanti nel tempo,
non è possibile esimersi dal fare un’analisi comparativa della
nuova produzione dei CU con i lavori degli anni ’80
ed è così che procederemo.
Negli arrangiamenti di questa nuova produzione, i campionamenti e l’effettistica sono largamente utilizzati e, assieme all’uso di riffs contrappuntistici che si inseriscono sulle armonie di base, prevalgono sulla composizione di melodie più definite che rappresentavano invece una caratteristica imprescindibile degli originali C.U.. Va detto però che questo non va affatto a discapito del risultato finale anche se resta comunque “altro” rispetto agli indirizzi della produzione musicale degli anni ‘80. Nonostante la presenza di più momenti di ambient-jazz e rock-jazz, nel CD si incontrano arrangiamenti decisamente “elettro-sinfonici” e a tratti evocativi di atmosfere genesisiane, ma anche alla Jade Warrior, che lasciano trapelare un ideale ricongiungimento ad un rock progressive e/o underground degli anni ’70 alla maniera dei Porcupine Tree di Steve Wilson (menzionato tra i “thanks to…”), piuttosto che ai Tuxedomoon, iniziali ispiratori dei C.U.. Naturalmente il tutto all’insegna di un sound aggiornato dalla moderna tecnologia. Il brano di apertura “Lacroix” si presenta sotto forma di un celebrativo patchwork rock-jazz alla Nucleus con in evidenza un tromba declamante alla Ian Carr e con la sorpresa di riusciti contrappunti della voce campionata di Demetrio Stratos. Il successivo “Tube 6” ci offre un rock elettro-sinfonico su un tema di sole cinque note. Segue “Mas Rapido”: si tratta del rifacimento di un brano già presente nell’album Central Unit del 1983 reso più fremente e frenetico da una nuova ritmica che alterna il rullante in battere e in levare con inserti elettronici che creano momenti di estraniamento spazio-temporale e un’ambientazione quasi “aliena”, sulla quale, solo nel finale, il gioioso e liberatorio riff felliniano di sax soprano riconduce per un momento alle atmosfere del passato. Si arriva quindi a “Still Sand”, brano dall’andamento sinusoidale con orchestrazioni “forte” e “piano” alla Jade Warrior di “Kites”. Con il successivo “Rock 11”, anch’esso presente nell’album “Central Unit” del 1983, l’ipnotico riff di basso, che insieme al sax caratterizzava la versione originale, si inserisce in modo più corale in un’ambientazione spaziale ed elettro-sinfonica attraversata a tratti da litanie vocali evocatrici. I brani “Internal Cut”, dalle voci creative, e “Until Trance” non sono altro che anagrammi del nome del gruppo e, soprattutto Until Trance, ben rispecchiano gli intenti musicali della band: “modern blended elettro-music” la definiremo. “Areknames” e “Riders on The Storm”: La cover di Battiato e quella dei Doors, per quanto siano espresse in modalità veramente interessanti, sembrano assolutamente fuori luogo (da un punto di vista concettuale) anche se omogenee agli altri brani dal punto vista del sound. La raccolta si chiude con una “Ghost Track” di poco meno di 40 secondi che sembra tratta da un disco della Mahavisnu Orchestra. Dal punto di vista strumentale, ampio è, naturalmente, l’utilizzo di sintetizzatori dai suoni digitali e analogici. La ritmica, più accattivante, si esprime in maniera molto più evidente rispetto al passato, grazie anche all’inserimento di un batterista propriamente detto. Viceversa, l’apporto del basso, elemento tipico della formazione originale, risulta sottodimensionato rispetto al passato e se ne avverte la mancanza di protagonismo. Il trait-d’union con la formazione originale resta quindi affidato esclusivamente al sax che con precise pennellate tratteggia atmosfere sognanti. Inoltre, anche l’uso del flauto contribuisce a restituire quell’atmosfera anni ’70 che aleggia in tutta questa nuova raccolta. Di grande rilievo la presenza del noto jazzista Marco Tamburini ospite alla tromba e al flugelhorn; l’inserimento delle voci, dagli impasti originali, risultano di forte impatto evocativo. Potrebbe essere questa una direzione da sviluppare in futuro. In definitiva,
anche in questo ritorno, come già agli inizi, i C.U.
non intendono presentarsi come degli innovatori ma
come creatori di atmosfere e suscitatori di emozioni. Non bisogna
dimenticare che quasi tutti i membri del gruppo sono musicofili e
hanno assorbito a grandi dosi buona parte della produzione musicale “rock”
degli ultimi trent’anni (e più…) i cui ampi,
inevitabili e certamente voluti riferimenti stanno a delineare
comunque il gusto e le capacità creative di questa band.
L’ingresso di Lolli
e l’allargamento dei componenti dei C.U. hanno sicuramente
modificato la vecchia impostazione un pò “elitaria”
del gruppo contribuendo invece ad indirizzare l’attuale produzione
su territori più aperti al mercato. Si tratta infatti di un lavoro
dall’ascolto godibile e che potrà soddisfare estimatori di
diversi generi musicali. G.F.N. |